Riassunto
Seregno, fine 800. La famiglia Mariani abita nel cuore del borgo, non più paese ma non ancora città; nè ricchi nè poveri, i Mariani, soprannominati “Ferescin”, sono piccoli possidenti terrieri e da secoli lavorano il metallo come maniscalchi e poi fabbri ferrai.
Il periodo è denso di cambiamenti: le prime fabbriche, la ferrovia, i primi albori di modernità, più tardi qui rispetto ad altrove. L’Italia è unita da 20 anni e c’è finalmente un po’ di stabilità, dieci anni dopo Porta Pia.
Francesco, il vero fondatore
In Camera di Commercio ho scoperto da un documento del 1911 (anno del primo censimento delle imprese mai realizzato in Italia) che nel 1899 Romildo non ha fondato lui l’azienda, ma ha rilevato l’attività iniziata dal fratello Francesco nel 1896.
Nessuno in famiglia aveva mai sentito parlare di Francesco e si pensava che Romildo fosse figlio unico. Ho quindi ricostruito la storia della famiglia di Romildo con ricerche in anagrafe, in parrocchia e altrove.
Ed ecco come è nata l’azienda: un po’ per caso, come conseguenza delle vicende personali degli imprenditori.
Nel 1880 Francesco lavora nella bottega di Giovanni ma è irrequieto, è un idealista e Seregno gli sta un po’ stretta. E’ una di quelle rare persone che guardano sotto la carrozzeria splendente della società e ne vedono gli ingranaggi sporchi, il rumore, i meccanismi complessi di ciò che succede veramente; le ingiustizie, le ipocrisie, le sofferenze.
Francesco frequenta la Scuola di Disegno organizzata dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso (un protosindacato) e qui ascolta le prime teorie socialiste: il lavoro e le macchine affrancheranno le masse dalla miseria e grazie al progresso la classe lavoratrice potrà stare un po’ meglio. I socialisti, in questi anni, vedono il progresso come un male necessario, una tappa faticosa ma necessaria per liberarsi dall’oppressione dei potenti. Francesco inizia a frequentare ambienti anarcoidi o socialisti anche per via della fidanzata Claudina Mina, figlia del capomastro, originaria di un paese al confine con la Svizzera dove passano molti anarchici perseguitati dalla legge e diretti a Lugano.
I genitori non sono contenti e mamma Rosa, fervente cattolica, vede con sospetto questi discorsi e gli atteggiamenti, tanto che il padre Giovanni nel testamento destina la casa ai te figli maschi, con la clausola che la casa non sia venduta finché Rosa è vivente.
Giovanni teme che Francesco, l’unico maggiorenne, compia qualche gesto “folle” e irresponsabile, sparisca dalla circolazione o addirittura metta in vendita la casa.
Quando il padre muore nel 1885, Francesco sembra mettere la testa a posto: sposa Claudina, mette su famiglia, lavora in bottega e si occupa dei fratellini.
Romildo è un bambino malaticcio: a causa delle sue assenze, ripete più volte le prime classi delle elementari. Ma poi finisce la terza con ottimi voti. Frequenta anche lui la Scuola di Disegno, come i fratelli, e lavora in bottega.
La famiglia ha qualche piccola rendita, ma bisogna lavorare. Romildo viene mandato a fare le consegne nelle vicine fabbriche tessili e si incanta a vedere i primi telai a vapore.
Francesco nel frattempo è sempre più inquieto e si mette nei guai, tanto che nel 1895 la mamma Rosa nel testamento non gli lascia case, ma una somma in denaro, precisando che se non è contento, non avrà neppure quella. Francesco le sembra imprevedibile e irresponsabile, Rosa è arrabbiata e ferita: non è così che ha cresciuto i suoi figlioli.
Una volta ancora Francesco tenta di mettere la testa a posto; convinto che il progresso e le macchine cambieranno il mondo, nel 1896 apre una piccola officina meccanica e inizia a produrre le prime rudimentali taglierine per lamiera.
Vuole diventare un “padrone” ma di stampo socialista, e creare macchine moderne e bellissime. Macchine che cambieranno il mondo liberando il proletariato dalle catene. La fabbrica e i beni materiali come occasione per realizzare, finalmente, la giustizia sociale.
Le cose vanno abbastanza bene e Romildo nel 1896 sposa Serafina, la timida e tranquilla vicina di casa con gli occhi azzurri, un po’ esotica perchè viene da Robbiano, subito a nord di Seregno. Lui 21 anni, lei 18. Poco più che ragazzini, già adulti.
1898 - a Milano Bava Beccaris spara sulla folla. Questo episodio manda in tilt Francesco: l’ingiustizia lo rende ancora più duro, quasi fanatico.
Presto la repressione arriva anche in Brianza e diversi seregnesi vengono arrestati. A luglio Romildo e Serafina accolgono il primogenito: Romeo, come il fratello di Claudina, morto da poco a vent’anni. Nuovi genitori, si tengono alla larga dalle polemiche e dai conflitti per cui inorridiscono i fratelli.
I fatti di Milano convincono Francesco che il progresso non sarà un’opportunità per il popolo, ma una fregatura. Inizia a parlare sempre più di rivoluzione e di lasciare la sonnacchiosa provincia per trasferirsi a Milano, dove accadono le cose. La polizia lo sorveglia, e Francesco capisce che deve cambiare aria. Distratto dalla politica, ha accumulato debiti e trascurato l’officina che va sistemata. Ci sono lavori da fare, fornitori da pagare.
Nel 1899 Francesco dunque lascia l’officina a Romildo e parte per Milano, in attesa di trovare casa e lavoro.
Romildo ottiene un prestito dal tutore, il maestro di disegno Antonio Perego (che in seguito diventerà sindaco di Seregno), per pagare un po’ di debiti, sistemare l’officina e aiutare Francesco a iniziare la sua nuova vita.
Francesco è ben felice di lasciare l’attività ad altri; è disamorato, deluso, il lavoro non è la più sua passione. Fare il padrone e cambiare il mondo con le macchine non gli interessa più. Ormai vede altro: l’ingiustizia sociale, il conflitto e la lotta di classe. Il mondo è diviso tra “noi” e “loro”, e lui non sarà mai uno di “loro”.
Come fonti primarie, ho ritrovato i testamenti di Giovanni e di Rosa, il prestito di Antonio Perego ai fratelli e anche la scheda famiglia originaria di Francesco, grazie a una giovane assessora di Milano.
Romildo e l’equilibrio delle energie nella sua visione di impresa
Una volta lontano da Seregno, Francesco a Milano non è ottimista nè speranzoso: anzi, è sempre più buio, arrabbiato, agitato. Trova casa in via Paolo Sarpi, apre un’osteria dove ospita e organizza ritrovi clandestini di anarchici. Un paio di volte, qui parlano i leader del movimento: persino Malatesta e Cafiero.
Rosa muore l’anno dopo, a febbraio 1900, e memo male perchè lei, monarchica, non vede l’assassinio di Re Umberto a luglio 1900. Dopo il regicidio gli anarchici vengono ancora di più presi di mira; nel 1901 Francesco arriva a Seregno per l’ultima volta quando Romildo vende la casa ereditata per rimborsare il prestito.
Inizia un periodo difficile; i Mariani, non più possidente, vivono in affitto e lavorano in bottega.
Romildo ripara spesso i primi macchinari delle industrie tessili locali, e inizia a immaginare e progettare nuovi modi per lavorare la lamiera: vede il motore a vapore come un modo furbo per fare meno fatica.
Non ha però, nella sua bottega, gli attrezzi indispensabili per creare un prototipo. Chiede allora al cugino Gaetano, che crea cancellate artistiche, di poter usare i suoi attrezzi. A tempo perso, il sabato o la domenica, tra un concerto mandolinistico e l’altro (la musica è l’unico suo passatempo), Romildo sperimenta, traffica, disegna, prova, si arrabatta.
Romildo continua a guardare al futuro con ottimismo. La sua visione del mondo è quella del contadino: cresciuto dai nonni in cascina, ha fiducia nella bontà della terra; è molto attaccato ai suoi antenati, conosce almeno tre generazioni prima della sua e si sente come “custodito” dai suoi avi, una specie di benevolenza dall’alto, ma anche la responsabilità della continuazione. Ha una nonna bergamasca, che dalla val Seriana gli ha portato praticità e amore per il lavoro.
Per lui i valori della famiglia, della lealtà, di fare del proprio meglio sono fondamentali. La combinazione dei due principi (fare il proprio dovere e impegnarsi per ottenere il meglio da ciò che la vita ci da), con gratitudine per ciò che si è ricevuto, e di costruire un lascito, un retaggio per i discendenti, fa sì che l’etica e la visione del mondo che ne risulta sia molto commovente: lasci qualcosa per le generazioni future, costruisci qualcosa che valga la pena loro abbiano.
Romildo sente che questo è stato fatto per lui dai suoi antenati e intende fare lo stesso per i suoi discendenti E lui stesso vuole lavorare duramente per costruire qualcosa che abbia significato per i suoi discendenti; e nella sua visione, il denaro è altrettanto importante della famiglia, del retaggio familiare. In altre parole: “a che ti servono i soldi se non hai la famiglia, la casa” E’ importante per lui essere parte di una buona famiglia, di brava gente. Gente perbene. Gente brianzola.
La backstory (episodi introduttivi del periodo precedente Romildo) vede protagonisti gli antenati di Romildo. Teresa, la bisnonna, che con altre 400 donne nel 1799 abbatte l’albero napoleonico della libertà per protesta contro la leva militare di mariti e figli; CarlAntonio, il nonno, parte della deputazione comunale napoleonica nel 1813: lo zio Giambattista, arrestato nel 1848 durante le Cinque Giornate; e Chimetu, lo zio maniscalco che ferrò il cavallo di Radetsky commentando, in perfetto stile brianzolo, “el m’ha pagà e mi sun cuntent”. E Giovanni, il padre di Romildo, soldato nella terza guerra di indipendenza, quella che crea il primo nucleo della nazione.
Fino alla Grande Guerra la vita scorre placida a Seregno, tra le difficoltà dei primi anni 10; più che altro si litiga tra cattolici e liberali, o per la privatizzazione del gas, ma in modo mai violento. L’economia cresce abbastanza, tra l’industria del cotone, del legno e dei saponi.
L’attitudine brianzola del lavoro a domicilio, iniziata con la seta e proseguita con il settore del mobile, facilita il passaggio a un moderato benessere senza i traumi della transizione forzata alla fabbrica, che invece agitano il milanese.
Romildo lavora alla sua visione di impresa come lascito per il futuro. Antonio Perego diventa sindaco nel 1903 e Romildo ha ora un riferimento autorevole a cui rivolgersi per appoggi e consigli
Arrivano notizie frammentarie di Francesco che ogni tanto si fa vivo, con messaggi criptici e un po’ deliranti. Ha chiuso l’osteria è tornato a fare il fabbro. Bazzica ambienti rivoluzionari ed è sempre più sconnesso dalla realtà.
I venti di guerra sconvolgono la vita tranquilla di Seregno. Molti uomini partono per il fronte, c’è crisi e mancanza di beni, nel 1916 scioperano le operaie tessili che lavorano nelle diverse fabbriche locali.
Nel 1917 Romildo viene chiamato alle armi ma ottiene l’esonero per un problema di salute e poi il congedo illimitato. Anche Romeo viene chiamato e lui parte davvero, nel 1917. Non gli dispiace partire; è animato dallo spirito patriottico di molti giovani. E’ sveglio e chiede di essere ammesso alla scuola ufficiali, va dapprima a Torino, poi brevemente in battaglia, in Veneto, nell’artiglieria campale. Non vede però granché della carneficina e in questo è fortunato. Romeo si convince che la sua guerra è buona, crede veramente nell’idealismo della Patria e nel recupero delle terre italiane (Trento e Trieste), c’è spazio nel suo cuore per essere mosso dalla visione, dalla passione, dal fine nobile di liberare la patria.
A Seregno, durante la Grande Guerra, Romildo è costretto ad assumere donne e ragazzetti, che lavorano anche di notte perchè molti operai sono al fronte. E’ rammaricato dalla situazione ma sa che per molte famiglie questo è l’unico modo per sopravvivere. Anche lui si da da fare, lavora manualmente se necessario.
Al termine della Guerra, che ha visto poco ma dove si è guadagnato qualche medaglia, Romeo torna a Seregno ma riparte subito per Fiume con l’amico Luigi Silva, che in seguito diventerà podestà e una figura importante nel fascio locale.
Romeo e Luigi sono gli unici due legionari brianzoli che accompagnano D’Annunzio nella sua impresa. L’esperienza di Fiume è molto importante per Romeo spiritualmente, gli ha dato un senso di elevazione, è un’energia solare che canalizza in seguito nel supporto alle famiglie dei suoi dipendenti e nello sport.
Inoltre questa energia si trasforma poi, dopo la Seconda Guerra, da nazionalismo in attenzione allo sviluppo della classe media; vuole che le persone abbiano una buona vita, che possano passare del tempo con le loro famiglie e studiare .
Crede nella meritocrazia e nel talento, pensa “se dai alle persone accesso allo studio, quelle intelligenti arriveranno in alto”. Questa fiducia nella meritocrazia e nel talento lo ispirano, gli danno uno scopo più alto, pensa “non è meraviglioso, quanto talento c’è la fuori, e le persone crescono se solo si da loro un’opportunità”
Questa mentalità alta e la tensione ad uno scopo più alto derivano direttamente dall’esperienza di Fiume, sono come “incubate” in questo periodo in cui i legionari non fanno molto, ma hanno modo di parlare, coltivare ideali, progettare il futuro. La guerra per Romeo è però anche pesantezza e oscurità, la convinzione che bisogna cercare di evitare che le persone soffrano, che la guerra è sbagliata
A Milano, Francesco lascia la famiglia e inizia una vita da semiclandestino. Abita un po’ qua e un po’ là, fa lavori occasionali, senza un vero progetto, trascinandosi tra alti e bassi in una vita di astio e insoddisfazione, punteggiata da occasionali episodi di protesta un po’ fine a se stessa.
A marzo 1921 la strage del teatro Diana, si suppone progettata da anarchici, sconvolge ulteriormente la vita di Francesco che si trovava per caso nei paraggi.
Al ritorno da Fiume, Romeo non sa bene che fare: Romildo lo vorrebbe in officina, ma lui aspira ad altro. Il 1922 è un anno chiave. Romildo ha 5 operai e finalmente mette a punto la nuova macchina, a cui pensa e lavora senza grandi clamori da qualche anno.
Romildo è un ingegnere autodidatta. Un genio della meccanica. Fin da bambino “vede” nella sua mente diversi e nuovi modi di fare le cose. Quando qualche tempo prima ha iniziato a costruire i primi oggetti e a sperimentare nuove costruzioni i suoi progressi erano così lenti e di basso livello che in realtà non riusciva, ma neanche si proponeva, di ottenere molto.
Il suo modo di lavorare all'inizio è poco strategico, con un sacco di tentativi e di errori, come... “ravanare” con questo e con quello. E all'inizio non c’è alcun progetto o visione più grande.
A un certo punto però intuisce che sta inventando qualcosa di veramente rivoluzionario. Un’innovazione quasi casuale. Quella a cui Francesco aspirava, lo scatto evolutivo dell’azienda e della società, per il progresso e il benessere di operai e padroni. Romildo ci inciampa quasi per caso.
Ha un'intelligenza matematica e spaziale, riesce a vedere come queste parti si incastrano tra loro.
E per qualche motivo non si scoraggia facilmente, pensa che sia divertente continuare. Continuare a provare, continuare a fare domande. È quasi come se non gli venisse in mente di smettere.
Fino a che, un giorno, il prototipo funziona.
La macchina piegatrice azionata da una cinghia, così l’uomo non deve più fare fatica. La fatica la fa il motore, un unico motore in azienda che tramite una cinghia aziona tutte le macchine dell’officina.
Inoltre la sua macchina è una combinazione di piegatrice e di calandra. Piega la lamiera e fa i rotoli. Due macchine in una. Un’idea geniale.
Come il cuore ha due funzioni, pompare il sangue e dar vita alle emozioni, anche la sua soluzione tecnologica fa due cose. E’ il cuore della macchina. Piega e curva il ferro, come il cuore da sia la vita fisica che l’amore spirituale.
Appena la presenta sul mercato, è come un rubinetto: piovono ordini, Romildo fatica a star dietro alla produzione e alle consegne. I muri della fabbrica, in centro di Seregno, cominciano a star stretti
Romeo si dedica per un po’ ad altro ma nel 1923 si convince ad entrare in azienda, anche grazie all’incitamento di Umberto Trabattoni, imprenditore tessile e benefattore locale, più tardi presidente del Milan ai tempi di Gre-No-Li, che lo “adotta” perchè ne intravede il talento potenziale.
Umberto vede in Romeo un “delfino” che può mettere in pratica la sua visione del mondo: giovane, brillante, intelligente, ambizioso, astuto e spregiudicato il giusto. Umberto ha una visione patriarcale e maschilista della società; con tanti fratelli, ha sofferto un certo grado di povertà da bambino, e ora sfrutta il successo economico per implementare la sua idea di benessere che corrisponde con l’ideologia del momento. Uomini forti, puliti, per una struttura sociale che mantiene l’ordine, la pace e l’armonia.
Per questo invita Romeo a occuparsi più attivamente dell’azienda, da “capo”: creare lavoro per una generazione di operai tranquilli e soddisfatti, che la domenica si svagano con il calcio, è la premessa perchè l’Italia diventi una grande nazione e non subisca più la miseria e la crisi.
Romeo continua con la politica, diventa assessore all’istruzione e vice del podestà quando nel 1926 il suo amico Luigi Silva viene eletto, ma applica il suo talento commerciale e attiva le sue pubbliche relazioni in azienda. Luigi è un personaggio dannunziano, che festeggia l’elezione a podestà atterrando con il biplano nello stadio di calcio e proponendo di unire Seregno ai comuni vicini creandone uno nuovo, dal nome Alberto Lombardo. Ovviamente i brianzoli, gente pratica, non ne vogliono sapere.
Nel 1926 l’azienda ha consolidato la sua posizione, ha 25 dipendenti e nel 1929 già esporta in Grecia, Brasile e Paraguay. Romeo viaggia e vende mentre Romildo sta in officina e gestisce la produzione e le persone. Gli ordini arrivano quasi senza fatica. L’azienda ormai produce una vasta gamma di macchinari, e ha diversi agenti e rivenditori.
Nel 1926 Romildo è proprietario e Romeo, che ha preso un diploma di ingegnere in Austria ed è direttore. Nel 1930 un bellissimo catalogo illustrato celebra il vasto assortimento di macchinari Mariani.
Nel 1931 l’azienda apre anche al mercato albanese e si trasferisce nella sede odierna, su terreni di proprietà di Umberto Trabattoni, che continua ad essere proprietario degli immobili.
Solo dopo la morte di Romildo, Umberto Trabattoni venderà ai Mariani il tutto.
Romildo è un vero genio della meccanica; dopo che un incendio inventa devasta il vicino saponificio, inventa un idrante rivoluzionario, che viene comprato anche dall’acquedotto di Chioggia.
Nel 1932 viene pronta la bella villa, costruita da Umberto per la famiglia Mariani. Ci abitano Romildo e Serafina, all’inizio, con Romeo. Franco fa da “custode” in officina.
Nel 1936, quando Romeo sposa Gianna, per un certo periodo padre e figlio vivono insieme alle mogli nella bella villa.
Francesco, a Milano, dopo anni di vagabondaggio entra in ospizio, dove muore due anni dopo.
Nei 15 anni in cui i due “padroni” collaborano, dal 1923 al 1938, Romildo tiene a bada Romeo. Ci sono diverse conversazioni esplicite a riguardo. Romeo non ha, in questo periodo della sua vita, gli stessi principi e la visione del mondo di Romildo, non ha la stessa etica
Romeo in questi anni ancora non comprende la motivazione di lasciare qualcosa alle generazioni future, che è l’unica ragione per cui l’azienda esiste.
Romeo vuole adottare un approccio capitalistico, volto solo a fare soldi. È un po’ dispersivo, ha una grande idea, poi un’altra grande idea…ma l’azienda non è la sua vera passione
Gli manca lo stesso livello di morale e di significato etico del lavoro di Romildo, per cui si scoccia e perde interesse, è annoiato, si dedica alla politica, alle corse, agli svaghi.
Romildo si rende conto che Romeo non ha la sua stessa motivazione e fondamento ed è disturbato da questo ma non sa come affrontare la questione, come parlargli a cuore aperto.
Romildo ha una sua genialità innata, un talento naturale, per cui quando Romeo prende delle decisioni affrettate perché non ha un vero attaccamento all’azienda, e queste risultano sbagliate, Romildo si irrita, ma non sa come farlo evolvere e fargli capire il suo punto di vista. Sono troppo diversi.
C’è tensione in questo periodo tra padre e figlio: il periodo storico da molte occasioni di discussione. Scioperi, crisi, guerre varie. Gli obblighi assurdi e falsi imposti dal fascismo (il culto del Duce, il Dopolavoro, il mito dell’italianità, la tangente sulle esportazioni) non corrispondono alla visione concreta e autentica di Romildo, che vede la falsità e l’ipocrisia di tutto il teatrino fascista.
Romeo in questo periodo è già “chiuso” nel cuore a causa della sua delusione d’amore, non sa qual è la sua passione, ma non è l’azienda come valore, come fonte di benessere collettivo per le famiglie e per i discendenti, come per Romildo. Forse il potere e la ricchezza lo compenseranno del vuoto che sente nell’anima.
Il 1938 è un anno chiave: i tre fratelli Mariani muoiono a poche settimane l’uno dall’altro. Finisce l’epoca di Romildo, il Padrone “bilanciato” e inizia l’era di Romeo. Negli ultimi tempi, con l’arrivo delle leggi razziali, Romildo quasi si augurava di morire perchè temeva che il fascismo avrebbe portato alla fine della sua visione di impresa. Romeo invece fiuta il tempo e sente la guerra imminente come un grande potenziale. E ora che lui sarà il solo padrone, si farà a modo suo.
Romeo, l’altro “padrone”.
Romeo e il momento storico. Siamo nel 1938 e in politica l’alleanza con la Germania lo rende disilluso nei confronti del fascismo, ma non provoca il disamoramento nei confronti del suo ruolo nel lavoro e nella società civile, che derivano direttamente dalle sue esperienze nella Grande Guerra e a Fiume. Però Romeo sa che la guerra è fonte di guadagno, e la sua azienda è ciò di cui c’è bisogno ora per costruire armi, mezzi di trasporto, e forniture di ogni genere.
La Mariani è perfettamente posizionata per crescere. I prodotti sono validi, le relazioni sociali stabili e forti. Forse ci sarà carenza di materie prime e di operai, se chiamati al fronte. Ma i pro sono più dei contro.
Negli anni 30 l’azienda è cresciuta molto, ma solo ora, dopo la morte di Romildo si investe davvero: il 1 settembre 1939 Hitler invade la Polonia e lo stesso giorno Romeo deposita la richiesta per espandere la fabbrica. La guerra non gli fa paura, anzi è un’occasione. Serafina si trasferisce sopra gli uffici che sono stati sopraelevati a creare un appartamento signorile per lei e Franco, che poi abiterà lì con la moglie Mina che sposerà nel 1945. Romeo e Gianna restano nella grande villa da soli. Un po’ troppo soli. Lei non riesce a restare incinta, e dopo l’inizio della Guerra Romeo e Gianna si preoccupano di avere un erede, dato che di figli non ne arrivano.
Nel 1944 l’occasione; all’ospedale di Desio è arrivato da Milano un orfanello di origini pugliesi. Ha 6 anni, l’età giusta, fuori da biberon e pannolini, ed è bello come il sole. I suoi genitori ed una sorellina sono morti in un bombardamento americano che voleva colpire la Breda. Mio padre Giuseppe.
Il libro si apre infatti con la scena del bombardamento il 30 aprile 1944. Ho recuperato i registri di volo degli aerei partiti da Torre Giulia, in Puglia, perchè dopo l’8 settembre 1943 l’Italia è tagliata in due. Ho le foto e i nomi degli equipaggi. Dopo l’apertura, la storia torna indietro a fine 800, con Romildo bambino, e ora si ricongiunge.
Durante la guerra l’azienda cresce moltissimo. Le commesse belliche delle aziende come Ansaldo e Fiat piovono dal cielo. Alla fine della Guerra la Mariani ha più di 200 dipendenti. E’ pronta per il dopoguerra e per lo sviluppo economico, che sta arrivando con la ricostruzione.
Se Romildo non fosse morto nel 1938, all’inizio della Guerra, forse le cose sarebbero andate diversamente; il mio sentire è che Romildo non avrebbe accettato di lavorare per l’industria bellica, o almeno lo avrebbe fatto solo perché costretto. Romeo invece appoggia in pieno la situazione e ne coglie tutti i vantaggi. Nel 1941 diventa cavaliere di San Marino, per meriti economici.
Subito dopo la guerra, Romeo e Franco (che ha sempre lavorato in azienda con mansioni secondarie, è simpatico ma meno “smart” del fratello) investono in immobili a Milano, comprando a poco prezzo terreni bombardati e ricostruendo interi condomini. L’azienda si espande, si comprano terreni e si allarga lo stabilimento.
Nel dopoguerra Romeo si dedica alla beneficienza, finanzia la scuola tecnica locale, costruisce case per i dipendenti.
Diventa presidente del Seregno calcio, mentre Umberto Trabattoni è presidente del Milan, e lo porta in serie B. Nel 1949, l’ultimo allenamento del Grande Torino prima della tragedia di Superga è proprio a Seregno. Romeo incontra la squadra e i dirigenti, che poco dopo moriranno nel disastro aereo.
Negli anni tra il 1950 e il 1965 l’azienda cresce senza sosta, partecipa alle fiere, esporta, si modernizza, anche grazie all’aiuto di un manager brillante, l’ing. Lombardi.
Romeo sa riconoscere i talenti e fa crescere le persone. In un approccio modernissimo, fa fare agli apprendisti un test psicologico presso l’università di Milano. Conosce il valore delle persone.
Descrivo l’evoluzione della fabbrica e dell’organizzazione interna, che nel dopoguerra è vorticosa. Le industrie più dinamiche, dell’auto e dell’elettrodomestico, hanno bisogno di macchine per piegare e tagliare la lamiera.
Le macchine Mariani sono le più costose ma anche le migliori sul mercato: le Rolls Royce della lavorazione della lamiera.
Molti vanno a lavorare alla Mariani per imparare il mestiere, e poi si mettono in proprio. Nasce presto nel territorio brianzolo un indotto di piccole officine e fabbriche simili o complementari.
Vediamo ora un focus su Giuseppe, mio padre; restare orfano è traumatico, per di più in un contesto di guerra, in una situazione di caos; quando è stato adottato aveva già vissuto il peggio assoluto. Questa esperienza come un’onda nera nella sua vita ha creato dissociazione e smarrimento del sé. Quando un bambino riceve la cura di base dalla famiglia, si convince che il mondo è buono, che lui è buono, ma mio padre non ha vissuto questa esperienza. C’è una qualità di cattiveria e durezza come persona, che deriva dal suo vuoto interiore. A causa della sua mancanza di risorse emotive, non aveva il senso della famiglia e delle generazioni successive, come Romildo.
E il messaggio qui è che Romildo era in grado di avere quella visione del mondo e dell’impresa, perché a sua volta aveva ricevuto qualcosa in termini emotivi dalle generazioni precedenti e quindi era in grado a sua volta di dare. Mio padre non aveva ricevuto quelle cose, per cui non aveva nulla da dare. Non era in grado di “dare” emotivamente nulla agli altri, perchè nulla aveva ricevuto e non era in grado di “restituire” granchè alle generazioni future. Gli mancava un “pezzo” fondamentale della persona.
Nel libro dovrò a questo punto, nella parte in cui Giuseppe diventa il terzo “padrone”, fare il paragone tra Romildo e mio padre, sottolineando tutto ciò che ci vuole per fare un vero leader.
Diventare leader non capita per caso: ci vuole una visione del mondo bilanciata e anche una vita personale familiare bilanciata, e tutti questi pezzi devono essere insieme per mettere in pratica questa leadership benevola e generosa.
Ma quando un futuro leader subisce il trauma, questo impatta sulla sua capacità di leadership. Non per generalizzare, non è che tutti coloro che hanno un’infanzia difficile diventano egoisti e autocentrati, ma io come autrice sono invitata a riflettere e a invitare i lettori a fare lo stesso su tutto ciò che ci vuole perché un leader diventi tale, con questo approccio olistico multigenerazionale, uno sguardo più allargato di quello che in genere si ritiene.
Da ragazzo, Giuseppe rimane spesso solo a Seregno, sotto la cura degli zii e dei custodi, mentre i genitori adottivi si dedicano al lavoro e alle loro attività sociali.
Romeo è presidente dell’Ucimu (associazione costruttori macchine utensili) per due volte, e si dedica all’associazione con impegno e passione. Le sue relazioni di fine anno, che ho recuperato, sono scritte benissimo e piene di senso etico e di responsabilità da parte dei “padroni” industriali nei confronti delle classi lavoratrici e più in generale dello sviluppo della società.
Invecchiando, verso la fine della sua vita, Romeo ricorda e recupera l’energia “femminile”, benevolente e generosa, che il padre aveva.
L’epilogo
Gli anni di Giuseppe. Questa parte la conosco bene perchè l’ho vissuta. In estrema sintesi, Giuseppe per un po’ si dedica all’azienda ma non è un vero leader. Litiga con lo zio Franco e lo estromette dall’azienda nel 1973, traendo i soldi dall’azienda stessa, impoverendola. Costruisce una grande villa, troppo grande. Compra case e beni di lusso. La sua attitudine è estrattiva, opportunista.
Si gloria del suo denaro, si fa chiamare Ingegnere, tratta tutti con altezzosità e disprezzo. Sa tutto lui, è intelligente solo lui. In realtà è consapevole di non essere della stessa stoffa dei “Due Padroni”, per i quali in azienda e in città aleggiano ancora rispetto e nostalgia. E fa di tutto per cancellarne il ricordo. E’ umorale, bipolare, scontroso con tutti.
Per un po’ l’azienda va avanti, quasi per forza di inerzia. Ma negli anni 80 con l’arrivo dell’automazione, c’è bisogno di modernizzare e si prova ad innovare i macchinari, e quasi ci si riesce. La Mariani ha persone e tecnici formidabili ed è all’avanguardia nelle soluzioni tecniche.
Ma Giuseppe non ha le necessarie capacità manageriali e umane, la visione e lo spirito di sacrificio che il momento di passaggio e di salto evolutivo richiederebbe. La concorrenza straniera preme dal basso.
C’è crisi di mercato e finanziaria. Giuseppe non riesce a gestire la crisi. Incolpa tutti gli altri di responsabilità che in realtà sono soprattutto sue, dato che lui è il decisore ultimo e che si è alienato l’appoggio e il supporto di tutti coloro che potrebbero consigliarlo, aiutarlo, dargli una mano nel momento critico.
L’ultima macchina viene venduta nel 1988. Poco dopo anche la famiglia si rompe.
L’introduzione alla storia, che scriverò per ultima, sarà una sintesi dei principi etici intessuti nel testo, in modo tale che i lettori abbiano un modello di riferimento che li aiuti a capire e interpretare i messaggi che la storia vuole descrivere e spiegare (Yin Yang, etica del denaro, collegamento mente/cuore, ecc.). In tal modo, nei vari episodi che man mano si sviluppano, potrò riferirmi a queste idee. Vorrei che il testo potesse essere letto come un romanzo, ma anche come un “manuale” che ispiri una visione, da riscoprire, utile per la gestione di impresa e per la leadership. La sfida sarà farlo in modo non troppo didattico o didascalico ma narrativo.
Una “teaching story”, perché la storia, che mi ha trovato e che ha voluto essere raccontata, non è fine a se stessa ma si propone di spiegare, suggerire, ispirare. Far crescere.
Guardare al passato per un riscoprire principi e valori utili per realizzare un futuro in cui gli sbilanciamenti, gli eccessi e le ipocrisie di questi ultimi decenni siano messi in discussione.
Il periodo è denso di cambiamenti: le prime fabbriche, la ferrovia, i primi albori di modernità, più tardi qui rispetto ad altrove. L’Italia è unita da 20 anni e c’è finalmente un po’ di stabilità, dieci anni dopo Porta Pia.
Francesco, il vero fondatore
In Camera di Commercio ho scoperto da un documento del 1911 (anno del primo censimento delle imprese mai realizzato in Italia) che nel 1899 Romildo non ha fondato lui l’azienda, ma ha rilevato l’attività iniziata dal fratello Francesco nel 1896.
Nessuno in famiglia aveva mai sentito parlare di Francesco e si pensava che Romildo fosse figlio unico. Ho quindi ricostruito la storia della famiglia di Romildo con ricerche in anagrafe, in parrocchia e altrove.
Ed ecco come è nata l’azienda: un po’ per caso, come conseguenza delle vicende personali degli imprenditori.
Nel 1880 Francesco lavora nella bottega di Giovanni ma è irrequieto, è un idealista e Seregno gli sta un po’ stretta. E’ una di quelle rare persone che guardano sotto la carrozzeria splendente della società e ne vedono gli ingranaggi sporchi, il rumore, i meccanismi complessi di ciò che succede veramente; le ingiustizie, le ipocrisie, le sofferenze.
Francesco frequenta la Scuola di Disegno organizzata dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso (un protosindacato) e qui ascolta le prime teorie socialiste: il lavoro e le macchine affrancheranno le masse dalla miseria e grazie al progresso la classe lavoratrice potrà stare un po’ meglio. I socialisti, in questi anni, vedono il progresso come un male necessario, una tappa faticosa ma necessaria per liberarsi dall’oppressione dei potenti. Francesco inizia a frequentare ambienti anarcoidi o socialisti anche per via della fidanzata Claudina Mina, figlia del capomastro, originaria di un paese al confine con la Svizzera dove passano molti anarchici perseguitati dalla legge e diretti a Lugano.
I genitori non sono contenti e mamma Rosa, fervente cattolica, vede con sospetto questi discorsi e gli atteggiamenti, tanto che il padre Giovanni nel testamento destina la casa ai te figli maschi, con la clausola che la casa non sia venduta finché Rosa è vivente.
Giovanni teme che Francesco, l’unico maggiorenne, compia qualche gesto “folle” e irresponsabile, sparisca dalla circolazione o addirittura metta in vendita la casa.
Quando il padre muore nel 1885, Francesco sembra mettere la testa a posto: sposa Claudina, mette su famiglia, lavora in bottega e si occupa dei fratellini.
Romildo è un bambino malaticcio: a causa delle sue assenze, ripete più volte le prime classi delle elementari. Ma poi finisce la terza con ottimi voti. Frequenta anche lui la Scuola di Disegno, come i fratelli, e lavora in bottega.
La famiglia ha qualche piccola rendita, ma bisogna lavorare. Romildo viene mandato a fare le consegne nelle vicine fabbriche tessili e si incanta a vedere i primi telai a vapore.
Francesco nel frattempo è sempre più inquieto e si mette nei guai, tanto che nel 1895 la mamma Rosa nel testamento non gli lascia case, ma una somma in denaro, precisando che se non è contento, non avrà neppure quella. Francesco le sembra imprevedibile e irresponsabile, Rosa è arrabbiata e ferita: non è così che ha cresciuto i suoi figlioli.
Una volta ancora Francesco tenta di mettere la testa a posto; convinto che il progresso e le macchine cambieranno il mondo, nel 1896 apre una piccola officina meccanica e inizia a produrre le prime rudimentali taglierine per lamiera.
Vuole diventare un “padrone” ma di stampo socialista, e creare macchine moderne e bellissime. Macchine che cambieranno il mondo liberando il proletariato dalle catene. La fabbrica e i beni materiali come occasione per realizzare, finalmente, la giustizia sociale.
Le cose vanno abbastanza bene e Romildo nel 1896 sposa Serafina, la timida e tranquilla vicina di casa con gli occhi azzurri, un po’ esotica perchè viene da Robbiano, subito a nord di Seregno. Lui 21 anni, lei 18. Poco più che ragazzini, già adulti.
1898 - a Milano Bava Beccaris spara sulla folla. Questo episodio manda in tilt Francesco: l’ingiustizia lo rende ancora più duro, quasi fanatico.
Presto la repressione arriva anche in Brianza e diversi seregnesi vengono arrestati. A luglio Romildo e Serafina accolgono il primogenito: Romeo, come il fratello di Claudina, morto da poco a vent’anni. Nuovi genitori, si tengono alla larga dalle polemiche e dai conflitti per cui inorridiscono i fratelli.
I fatti di Milano convincono Francesco che il progresso non sarà un’opportunità per il popolo, ma una fregatura. Inizia a parlare sempre più di rivoluzione e di lasciare la sonnacchiosa provincia per trasferirsi a Milano, dove accadono le cose. La polizia lo sorveglia, e Francesco capisce che deve cambiare aria. Distratto dalla politica, ha accumulato debiti e trascurato l’officina che va sistemata. Ci sono lavori da fare, fornitori da pagare.
Nel 1899 Francesco dunque lascia l’officina a Romildo e parte per Milano, in attesa di trovare casa e lavoro.
Romildo ottiene un prestito dal tutore, il maestro di disegno Antonio Perego (che in seguito diventerà sindaco di Seregno), per pagare un po’ di debiti, sistemare l’officina e aiutare Francesco a iniziare la sua nuova vita.
Francesco è ben felice di lasciare l’attività ad altri; è disamorato, deluso, il lavoro non è la più sua passione. Fare il padrone e cambiare il mondo con le macchine non gli interessa più. Ormai vede altro: l’ingiustizia sociale, il conflitto e la lotta di classe. Il mondo è diviso tra “noi” e “loro”, e lui non sarà mai uno di “loro”.
Come fonti primarie, ho ritrovato i testamenti di Giovanni e di Rosa, il prestito di Antonio Perego ai fratelli e anche la scheda famiglia originaria di Francesco, grazie a una giovane assessora di Milano.
Romildo e l’equilibrio delle energie nella sua visione di impresa
Una volta lontano da Seregno, Francesco a Milano non è ottimista nè speranzoso: anzi, è sempre più buio, arrabbiato, agitato. Trova casa in via Paolo Sarpi, apre un’osteria dove ospita e organizza ritrovi clandestini di anarchici. Un paio di volte, qui parlano i leader del movimento: persino Malatesta e Cafiero.
Rosa muore l’anno dopo, a febbraio 1900, e memo male perchè lei, monarchica, non vede l’assassinio di Re Umberto a luglio 1900. Dopo il regicidio gli anarchici vengono ancora di più presi di mira; nel 1901 Francesco arriva a Seregno per l’ultima volta quando Romildo vende la casa ereditata per rimborsare il prestito.
Inizia un periodo difficile; i Mariani, non più possidente, vivono in affitto e lavorano in bottega.
Romildo ripara spesso i primi macchinari delle industrie tessili locali, e inizia a immaginare e progettare nuovi modi per lavorare la lamiera: vede il motore a vapore come un modo furbo per fare meno fatica.
Non ha però, nella sua bottega, gli attrezzi indispensabili per creare un prototipo. Chiede allora al cugino Gaetano, che crea cancellate artistiche, di poter usare i suoi attrezzi. A tempo perso, il sabato o la domenica, tra un concerto mandolinistico e l’altro (la musica è l’unico suo passatempo), Romildo sperimenta, traffica, disegna, prova, si arrabatta.
Romildo continua a guardare al futuro con ottimismo. La sua visione del mondo è quella del contadino: cresciuto dai nonni in cascina, ha fiducia nella bontà della terra; è molto attaccato ai suoi antenati, conosce almeno tre generazioni prima della sua e si sente come “custodito” dai suoi avi, una specie di benevolenza dall’alto, ma anche la responsabilità della continuazione. Ha una nonna bergamasca, che dalla val Seriana gli ha portato praticità e amore per il lavoro.
Per lui i valori della famiglia, della lealtà, di fare del proprio meglio sono fondamentali. La combinazione dei due principi (fare il proprio dovere e impegnarsi per ottenere il meglio da ciò che la vita ci da), con gratitudine per ciò che si è ricevuto, e di costruire un lascito, un retaggio per i discendenti, fa sì che l’etica e la visione del mondo che ne risulta sia molto commovente: lasci qualcosa per le generazioni future, costruisci qualcosa che valga la pena loro abbiano.
Romildo sente che questo è stato fatto per lui dai suoi antenati e intende fare lo stesso per i suoi discendenti E lui stesso vuole lavorare duramente per costruire qualcosa che abbia significato per i suoi discendenti; e nella sua visione, il denaro è altrettanto importante della famiglia, del retaggio familiare. In altre parole: “a che ti servono i soldi se non hai la famiglia, la casa” E’ importante per lui essere parte di una buona famiglia, di brava gente. Gente perbene. Gente brianzola.
La backstory (episodi introduttivi del periodo precedente Romildo) vede protagonisti gli antenati di Romildo. Teresa, la bisnonna, che con altre 400 donne nel 1799 abbatte l’albero napoleonico della libertà per protesta contro la leva militare di mariti e figli; CarlAntonio, il nonno, parte della deputazione comunale napoleonica nel 1813: lo zio Giambattista, arrestato nel 1848 durante le Cinque Giornate; e Chimetu, lo zio maniscalco che ferrò il cavallo di Radetsky commentando, in perfetto stile brianzolo, “el m’ha pagà e mi sun cuntent”. E Giovanni, il padre di Romildo, soldato nella terza guerra di indipendenza, quella che crea il primo nucleo della nazione.
Fino alla Grande Guerra la vita scorre placida a Seregno, tra le difficoltà dei primi anni 10; più che altro si litiga tra cattolici e liberali, o per la privatizzazione del gas, ma in modo mai violento. L’economia cresce abbastanza, tra l’industria del cotone, del legno e dei saponi.
L’attitudine brianzola del lavoro a domicilio, iniziata con la seta e proseguita con il settore del mobile, facilita il passaggio a un moderato benessere senza i traumi della transizione forzata alla fabbrica, che invece agitano il milanese.
Romildo lavora alla sua visione di impresa come lascito per il futuro. Antonio Perego diventa sindaco nel 1903 e Romildo ha ora un riferimento autorevole a cui rivolgersi per appoggi e consigli
Arrivano notizie frammentarie di Francesco che ogni tanto si fa vivo, con messaggi criptici e un po’ deliranti. Ha chiuso l’osteria è tornato a fare il fabbro. Bazzica ambienti rivoluzionari ed è sempre più sconnesso dalla realtà.
I venti di guerra sconvolgono la vita tranquilla di Seregno. Molti uomini partono per il fronte, c’è crisi e mancanza di beni, nel 1916 scioperano le operaie tessili che lavorano nelle diverse fabbriche locali.
Nel 1917 Romildo viene chiamato alle armi ma ottiene l’esonero per un problema di salute e poi il congedo illimitato. Anche Romeo viene chiamato e lui parte davvero, nel 1917. Non gli dispiace partire; è animato dallo spirito patriottico di molti giovani. E’ sveglio e chiede di essere ammesso alla scuola ufficiali, va dapprima a Torino, poi brevemente in battaglia, in Veneto, nell’artiglieria campale. Non vede però granché della carneficina e in questo è fortunato. Romeo si convince che la sua guerra è buona, crede veramente nell’idealismo della Patria e nel recupero delle terre italiane (Trento e Trieste), c’è spazio nel suo cuore per essere mosso dalla visione, dalla passione, dal fine nobile di liberare la patria.
A Seregno, durante la Grande Guerra, Romildo è costretto ad assumere donne e ragazzetti, che lavorano anche di notte perchè molti operai sono al fronte. E’ rammaricato dalla situazione ma sa che per molte famiglie questo è l’unico modo per sopravvivere. Anche lui si da da fare, lavora manualmente se necessario.
Al termine della Guerra, che ha visto poco ma dove si è guadagnato qualche medaglia, Romeo torna a Seregno ma riparte subito per Fiume con l’amico Luigi Silva, che in seguito diventerà podestà e una figura importante nel fascio locale.
Romeo e Luigi sono gli unici due legionari brianzoli che accompagnano D’Annunzio nella sua impresa. L’esperienza di Fiume è molto importante per Romeo spiritualmente, gli ha dato un senso di elevazione, è un’energia solare che canalizza in seguito nel supporto alle famiglie dei suoi dipendenti e nello sport.
Inoltre questa energia si trasforma poi, dopo la Seconda Guerra, da nazionalismo in attenzione allo sviluppo della classe media; vuole che le persone abbiano una buona vita, che possano passare del tempo con le loro famiglie e studiare .
Crede nella meritocrazia e nel talento, pensa “se dai alle persone accesso allo studio, quelle intelligenti arriveranno in alto”. Questa fiducia nella meritocrazia e nel talento lo ispirano, gli danno uno scopo più alto, pensa “non è meraviglioso, quanto talento c’è la fuori, e le persone crescono se solo si da loro un’opportunità”
Questa mentalità alta e la tensione ad uno scopo più alto derivano direttamente dall’esperienza di Fiume, sono come “incubate” in questo periodo in cui i legionari non fanno molto, ma hanno modo di parlare, coltivare ideali, progettare il futuro. La guerra per Romeo è però anche pesantezza e oscurità, la convinzione che bisogna cercare di evitare che le persone soffrano, che la guerra è sbagliata
A Milano, Francesco lascia la famiglia e inizia una vita da semiclandestino. Abita un po’ qua e un po’ là, fa lavori occasionali, senza un vero progetto, trascinandosi tra alti e bassi in una vita di astio e insoddisfazione, punteggiata da occasionali episodi di protesta un po’ fine a se stessa.
A marzo 1921 la strage del teatro Diana, si suppone progettata da anarchici, sconvolge ulteriormente la vita di Francesco che si trovava per caso nei paraggi.
Al ritorno da Fiume, Romeo non sa bene che fare: Romildo lo vorrebbe in officina, ma lui aspira ad altro. Il 1922 è un anno chiave. Romildo ha 5 operai e finalmente mette a punto la nuova macchina, a cui pensa e lavora senza grandi clamori da qualche anno.
Romildo è un ingegnere autodidatta. Un genio della meccanica. Fin da bambino “vede” nella sua mente diversi e nuovi modi di fare le cose. Quando qualche tempo prima ha iniziato a costruire i primi oggetti e a sperimentare nuove costruzioni i suoi progressi erano così lenti e di basso livello che in realtà non riusciva, ma neanche si proponeva, di ottenere molto.
Il suo modo di lavorare all'inizio è poco strategico, con un sacco di tentativi e di errori, come... “ravanare” con questo e con quello. E all'inizio non c’è alcun progetto o visione più grande.
A un certo punto però intuisce che sta inventando qualcosa di veramente rivoluzionario. Un’innovazione quasi casuale. Quella a cui Francesco aspirava, lo scatto evolutivo dell’azienda e della società, per il progresso e il benessere di operai e padroni. Romildo ci inciampa quasi per caso.
Ha un'intelligenza matematica e spaziale, riesce a vedere come queste parti si incastrano tra loro.
E per qualche motivo non si scoraggia facilmente, pensa che sia divertente continuare. Continuare a provare, continuare a fare domande. È quasi come se non gli venisse in mente di smettere.
Fino a che, un giorno, il prototipo funziona.
La macchina piegatrice azionata da una cinghia, così l’uomo non deve più fare fatica. La fatica la fa il motore, un unico motore in azienda che tramite una cinghia aziona tutte le macchine dell’officina.
Inoltre la sua macchina è una combinazione di piegatrice e di calandra. Piega la lamiera e fa i rotoli. Due macchine in una. Un’idea geniale.
Come il cuore ha due funzioni, pompare il sangue e dar vita alle emozioni, anche la sua soluzione tecnologica fa due cose. E’ il cuore della macchina. Piega e curva il ferro, come il cuore da sia la vita fisica che l’amore spirituale.
Appena la presenta sul mercato, è come un rubinetto: piovono ordini, Romildo fatica a star dietro alla produzione e alle consegne. I muri della fabbrica, in centro di Seregno, cominciano a star stretti
Romeo si dedica per un po’ ad altro ma nel 1923 si convince ad entrare in azienda, anche grazie all’incitamento di Umberto Trabattoni, imprenditore tessile e benefattore locale, più tardi presidente del Milan ai tempi di Gre-No-Li, che lo “adotta” perchè ne intravede il talento potenziale.
Umberto vede in Romeo un “delfino” che può mettere in pratica la sua visione del mondo: giovane, brillante, intelligente, ambizioso, astuto e spregiudicato il giusto. Umberto ha una visione patriarcale e maschilista della società; con tanti fratelli, ha sofferto un certo grado di povertà da bambino, e ora sfrutta il successo economico per implementare la sua idea di benessere che corrisponde con l’ideologia del momento. Uomini forti, puliti, per una struttura sociale che mantiene l’ordine, la pace e l’armonia.
Per questo invita Romeo a occuparsi più attivamente dell’azienda, da “capo”: creare lavoro per una generazione di operai tranquilli e soddisfatti, che la domenica si svagano con il calcio, è la premessa perchè l’Italia diventi una grande nazione e non subisca più la miseria e la crisi.
Romeo continua con la politica, diventa assessore all’istruzione e vice del podestà quando nel 1926 il suo amico Luigi Silva viene eletto, ma applica il suo talento commerciale e attiva le sue pubbliche relazioni in azienda. Luigi è un personaggio dannunziano, che festeggia l’elezione a podestà atterrando con il biplano nello stadio di calcio e proponendo di unire Seregno ai comuni vicini creandone uno nuovo, dal nome Alberto Lombardo. Ovviamente i brianzoli, gente pratica, non ne vogliono sapere.
Nel 1926 l’azienda ha consolidato la sua posizione, ha 25 dipendenti e nel 1929 già esporta in Grecia, Brasile e Paraguay. Romeo viaggia e vende mentre Romildo sta in officina e gestisce la produzione e le persone. Gli ordini arrivano quasi senza fatica. L’azienda ormai produce una vasta gamma di macchinari, e ha diversi agenti e rivenditori.
Nel 1926 Romildo è proprietario e Romeo, che ha preso un diploma di ingegnere in Austria ed è direttore. Nel 1930 un bellissimo catalogo illustrato celebra il vasto assortimento di macchinari Mariani.
Nel 1931 l’azienda apre anche al mercato albanese e si trasferisce nella sede odierna, su terreni di proprietà di Umberto Trabattoni, che continua ad essere proprietario degli immobili.
Solo dopo la morte di Romildo, Umberto Trabattoni venderà ai Mariani il tutto.
Romildo è un vero genio della meccanica; dopo che un incendio inventa devasta il vicino saponificio, inventa un idrante rivoluzionario, che viene comprato anche dall’acquedotto di Chioggia.
Nel 1932 viene pronta la bella villa, costruita da Umberto per la famiglia Mariani. Ci abitano Romildo e Serafina, all’inizio, con Romeo. Franco fa da “custode” in officina.
Nel 1936, quando Romeo sposa Gianna, per un certo periodo padre e figlio vivono insieme alle mogli nella bella villa.
Francesco, a Milano, dopo anni di vagabondaggio entra in ospizio, dove muore due anni dopo.
Nei 15 anni in cui i due “padroni” collaborano, dal 1923 al 1938, Romildo tiene a bada Romeo. Ci sono diverse conversazioni esplicite a riguardo. Romeo non ha, in questo periodo della sua vita, gli stessi principi e la visione del mondo di Romildo, non ha la stessa etica
Romeo in questi anni ancora non comprende la motivazione di lasciare qualcosa alle generazioni future, che è l’unica ragione per cui l’azienda esiste.
Romeo vuole adottare un approccio capitalistico, volto solo a fare soldi. È un po’ dispersivo, ha una grande idea, poi un’altra grande idea…ma l’azienda non è la sua vera passione
Gli manca lo stesso livello di morale e di significato etico del lavoro di Romildo, per cui si scoccia e perde interesse, è annoiato, si dedica alla politica, alle corse, agli svaghi.
Romildo si rende conto che Romeo non ha la sua stessa motivazione e fondamento ed è disturbato da questo ma non sa come affrontare la questione, come parlargli a cuore aperto.
Romildo ha una sua genialità innata, un talento naturale, per cui quando Romeo prende delle decisioni affrettate perché non ha un vero attaccamento all’azienda, e queste risultano sbagliate, Romildo si irrita, ma non sa come farlo evolvere e fargli capire il suo punto di vista. Sono troppo diversi.
C’è tensione in questo periodo tra padre e figlio: il periodo storico da molte occasioni di discussione. Scioperi, crisi, guerre varie. Gli obblighi assurdi e falsi imposti dal fascismo (il culto del Duce, il Dopolavoro, il mito dell’italianità, la tangente sulle esportazioni) non corrispondono alla visione concreta e autentica di Romildo, che vede la falsità e l’ipocrisia di tutto il teatrino fascista.
Romeo in questo periodo è già “chiuso” nel cuore a causa della sua delusione d’amore, non sa qual è la sua passione, ma non è l’azienda come valore, come fonte di benessere collettivo per le famiglie e per i discendenti, come per Romildo. Forse il potere e la ricchezza lo compenseranno del vuoto che sente nell’anima.
Il 1938 è un anno chiave: i tre fratelli Mariani muoiono a poche settimane l’uno dall’altro. Finisce l’epoca di Romildo, il Padrone “bilanciato” e inizia l’era di Romeo. Negli ultimi tempi, con l’arrivo delle leggi razziali, Romildo quasi si augurava di morire perchè temeva che il fascismo avrebbe portato alla fine della sua visione di impresa. Romeo invece fiuta il tempo e sente la guerra imminente come un grande potenziale. E ora che lui sarà il solo padrone, si farà a modo suo.
Romeo, l’altro “padrone”.
Romeo e il momento storico. Siamo nel 1938 e in politica l’alleanza con la Germania lo rende disilluso nei confronti del fascismo, ma non provoca il disamoramento nei confronti del suo ruolo nel lavoro e nella società civile, che derivano direttamente dalle sue esperienze nella Grande Guerra e a Fiume. Però Romeo sa che la guerra è fonte di guadagno, e la sua azienda è ciò di cui c’è bisogno ora per costruire armi, mezzi di trasporto, e forniture di ogni genere.
La Mariani è perfettamente posizionata per crescere. I prodotti sono validi, le relazioni sociali stabili e forti. Forse ci sarà carenza di materie prime e di operai, se chiamati al fronte. Ma i pro sono più dei contro.
Negli anni 30 l’azienda è cresciuta molto, ma solo ora, dopo la morte di Romildo si investe davvero: il 1 settembre 1939 Hitler invade la Polonia e lo stesso giorno Romeo deposita la richiesta per espandere la fabbrica. La guerra non gli fa paura, anzi è un’occasione. Serafina si trasferisce sopra gli uffici che sono stati sopraelevati a creare un appartamento signorile per lei e Franco, che poi abiterà lì con la moglie Mina che sposerà nel 1945. Romeo e Gianna restano nella grande villa da soli. Un po’ troppo soli. Lei non riesce a restare incinta, e dopo l’inizio della Guerra Romeo e Gianna si preoccupano di avere un erede, dato che di figli non ne arrivano.
Nel 1944 l’occasione; all’ospedale di Desio è arrivato da Milano un orfanello di origini pugliesi. Ha 6 anni, l’età giusta, fuori da biberon e pannolini, ed è bello come il sole. I suoi genitori ed una sorellina sono morti in un bombardamento americano che voleva colpire la Breda. Mio padre Giuseppe.
Il libro si apre infatti con la scena del bombardamento il 30 aprile 1944. Ho recuperato i registri di volo degli aerei partiti da Torre Giulia, in Puglia, perchè dopo l’8 settembre 1943 l’Italia è tagliata in due. Ho le foto e i nomi degli equipaggi. Dopo l’apertura, la storia torna indietro a fine 800, con Romildo bambino, e ora si ricongiunge.
Durante la guerra l’azienda cresce moltissimo. Le commesse belliche delle aziende come Ansaldo e Fiat piovono dal cielo. Alla fine della Guerra la Mariani ha più di 200 dipendenti. E’ pronta per il dopoguerra e per lo sviluppo economico, che sta arrivando con la ricostruzione.
Se Romildo non fosse morto nel 1938, all’inizio della Guerra, forse le cose sarebbero andate diversamente; il mio sentire è che Romildo non avrebbe accettato di lavorare per l’industria bellica, o almeno lo avrebbe fatto solo perché costretto. Romeo invece appoggia in pieno la situazione e ne coglie tutti i vantaggi. Nel 1941 diventa cavaliere di San Marino, per meriti economici.
Subito dopo la guerra, Romeo e Franco (che ha sempre lavorato in azienda con mansioni secondarie, è simpatico ma meno “smart” del fratello) investono in immobili a Milano, comprando a poco prezzo terreni bombardati e ricostruendo interi condomini. L’azienda si espande, si comprano terreni e si allarga lo stabilimento.
Nel dopoguerra Romeo si dedica alla beneficienza, finanzia la scuola tecnica locale, costruisce case per i dipendenti.
Diventa presidente del Seregno calcio, mentre Umberto Trabattoni è presidente del Milan, e lo porta in serie B. Nel 1949, l’ultimo allenamento del Grande Torino prima della tragedia di Superga è proprio a Seregno. Romeo incontra la squadra e i dirigenti, che poco dopo moriranno nel disastro aereo.
Negli anni tra il 1950 e il 1965 l’azienda cresce senza sosta, partecipa alle fiere, esporta, si modernizza, anche grazie all’aiuto di un manager brillante, l’ing. Lombardi.
Romeo sa riconoscere i talenti e fa crescere le persone. In un approccio modernissimo, fa fare agli apprendisti un test psicologico presso l’università di Milano. Conosce il valore delle persone.
Descrivo l’evoluzione della fabbrica e dell’organizzazione interna, che nel dopoguerra è vorticosa. Le industrie più dinamiche, dell’auto e dell’elettrodomestico, hanno bisogno di macchine per piegare e tagliare la lamiera.
Le macchine Mariani sono le più costose ma anche le migliori sul mercato: le Rolls Royce della lavorazione della lamiera.
Molti vanno a lavorare alla Mariani per imparare il mestiere, e poi si mettono in proprio. Nasce presto nel territorio brianzolo un indotto di piccole officine e fabbriche simili o complementari.
Vediamo ora un focus su Giuseppe, mio padre; restare orfano è traumatico, per di più in un contesto di guerra, in una situazione di caos; quando è stato adottato aveva già vissuto il peggio assoluto. Questa esperienza come un’onda nera nella sua vita ha creato dissociazione e smarrimento del sé. Quando un bambino riceve la cura di base dalla famiglia, si convince che il mondo è buono, che lui è buono, ma mio padre non ha vissuto questa esperienza. C’è una qualità di cattiveria e durezza come persona, che deriva dal suo vuoto interiore. A causa della sua mancanza di risorse emotive, non aveva il senso della famiglia e delle generazioni successive, come Romildo.
E il messaggio qui è che Romildo era in grado di avere quella visione del mondo e dell’impresa, perché a sua volta aveva ricevuto qualcosa in termini emotivi dalle generazioni precedenti e quindi era in grado a sua volta di dare. Mio padre non aveva ricevuto quelle cose, per cui non aveva nulla da dare. Non era in grado di “dare” emotivamente nulla agli altri, perchè nulla aveva ricevuto e non era in grado di “restituire” granchè alle generazioni future. Gli mancava un “pezzo” fondamentale della persona.
Nel libro dovrò a questo punto, nella parte in cui Giuseppe diventa il terzo “padrone”, fare il paragone tra Romildo e mio padre, sottolineando tutto ciò che ci vuole per fare un vero leader.
Diventare leader non capita per caso: ci vuole una visione del mondo bilanciata e anche una vita personale familiare bilanciata, e tutti questi pezzi devono essere insieme per mettere in pratica questa leadership benevola e generosa.
Ma quando un futuro leader subisce il trauma, questo impatta sulla sua capacità di leadership. Non per generalizzare, non è che tutti coloro che hanno un’infanzia difficile diventano egoisti e autocentrati, ma io come autrice sono invitata a riflettere e a invitare i lettori a fare lo stesso su tutto ciò che ci vuole perché un leader diventi tale, con questo approccio olistico multigenerazionale, uno sguardo più allargato di quello che in genere si ritiene.
Da ragazzo, Giuseppe rimane spesso solo a Seregno, sotto la cura degli zii e dei custodi, mentre i genitori adottivi si dedicano al lavoro e alle loro attività sociali.
Romeo è presidente dell’Ucimu (associazione costruttori macchine utensili) per due volte, e si dedica all’associazione con impegno e passione. Le sue relazioni di fine anno, che ho recuperato, sono scritte benissimo e piene di senso etico e di responsabilità da parte dei “padroni” industriali nei confronti delle classi lavoratrici e più in generale dello sviluppo della società.
Invecchiando, verso la fine della sua vita, Romeo ricorda e recupera l’energia “femminile”, benevolente e generosa, che il padre aveva.
L’epilogo
Gli anni di Giuseppe. Questa parte la conosco bene perchè l’ho vissuta. In estrema sintesi, Giuseppe per un po’ si dedica all’azienda ma non è un vero leader. Litiga con lo zio Franco e lo estromette dall’azienda nel 1973, traendo i soldi dall’azienda stessa, impoverendola. Costruisce una grande villa, troppo grande. Compra case e beni di lusso. La sua attitudine è estrattiva, opportunista.
Si gloria del suo denaro, si fa chiamare Ingegnere, tratta tutti con altezzosità e disprezzo. Sa tutto lui, è intelligente solo lui. In realtà è consapevole di non essere della stessa stoffa dei “Due Padroni”, per i quali in azienda e in città aleggiano ancora rispetto e nostalgia. E fa di tutto per cancellarne il ricordo. E’ umorale, bipolare, scontroso con tutti.
Per un po’ l’azienda va avanti, quasi per forza di inerzia. Ma negli anni 80 con l’arrivo dell’automazione, c’è bisogno di modernizzare e si prova ad innovare i macchinari, e quasi ci si riesce. La Mariani ha persone e tecnici formidabili ed è all’avanguardia nelle soluzioni tecniche.
Ma Giuseppe non ha le necessarie capacità manageriali e umane, la visione e lo spirito di sacrificio che il momento di passaggio e di salto evolutivo richiederebbe. La concorrenza straniera preme dal basso.
C’è crisi di mercato e finanziaria. Giuseppe non riesce a gestire la crisi. Incolpa tutti gli altri di responsabilità che in realtà sono soprattutto sue, dato che lui è il decisore ultimo e che si è alienato l’appoggio e il supporto di tutti coloro che potrebbero consigliarlo, aiutarlo, dargli una mano nel momento critico.
L’ultima macchina viene venduta nel 1988. Poco dopo anche la famiglia si rompe.
L’introduzione alla storia, che scriverò per ultima, sarà una sintesi dei principi etici intessuti nel testo, in modo tale che i lettori abbiano un modello di riferimento che li aiuti a capire e interpretare i messaggi che la storia vuole descrivere e spiegare (Yin Yang, etica del denaro, collegamento mente/cuore, ecc.). In tal modo, nei vari episodi che man mano si sviluppano, potrò riferirmi a queste idee. Vorrei che il testo potesse essere letto come un romanzo, ma anche come un “manuale” che ispiri una visione, da riscoprire, utile per la gestione di impresa e per la leadership. La sfida sarà farlo in modo non troppo didattico o didascalico ma narrativo.
Una “teaching story”, perché la storia, che mi ha trovato e che ha voluto essere raccontata, non è fine a se stessa ma si propone di spiegare, suggerire, ispirare. Far crescere.
Guardare al passato per un riscoprire principi e valori utili per realizzare un futuro in cui gli sbilanciamenti, gli eccessi e le ipocrisie di questi ultimi decenni siano messi in discussione.